Tra progetto e cantiere: focus sulla normativa vigente

Se da una parte la normativa (Norme tecniche per le Costruzioni) pone delle «condizioni» per la validazione del progetto strutturale, dall’altra, non sembra tener in conto l’interazione che sussiste tra progetto e cantiere. Quanto riportato alla normativa risulta essere frutto di ricerche scientifiche e studi particolari in campo sismico; le caratteristiche degli elementi strutturali devono essere tali da garantire una sufficiente performance negli eventi cosi detti «eccezionali».

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Riportiamo l'articolo pubblicato su ilnuovoncantiere.it

Titolo articolo: Concept strutturale. Dal computer al cantiere passando per la filosofica normativa

Dopo aver discusso del computo metrico – documento «ponte» tra progetto e cantiere – è bene introdurre un concetto astratto che riguarda sostanzialmente l’idealizzazione matematica della struttura da progettare.

Tutti siamo a conoscenza, più o meno, che il progettista strutturale idealizza un’opera attraverso la messa a punto di un modello fisico-matematico, con il quale è possibile, successivamente, condurre i calcoli e le verifiche secondo le prescrizioni dettate dalla normativa cogente. Attualmente, si fa un gran parlare di questi fatidici e misteriosi «modelli di calcolo», soprattutto per quanto concerne la loro «validazione».

Ebbene, se da una parte ci sono dibattiti accesi sia a livello commerciale sia a livello scientifico – dove si cerca di capire se da un dato software sia possibile ottenere risultati comparabili con le classiche teorie della «scienza delle costruzioni» – dall’altra parte assistiamo a una totale incapacità di validazione a livello cantieristico. Infatti, il progettista strutturale ha il compito di «progettare» una struttura seguendo le molteplici prescrizioni dettate dalle normative: dalla quantità di acciaio da inserire negli elementi strutturali in cemento armato, fino ad arrivare agli innumerevoli controlli ingegneristici che, tra le altre cose, contemplano proprio la validazione del calcolo automatico condotto con i software specialistici.

A tal riguardo il Dm 14/01/2008 al paragrafo 10.2 «Analisi e verifiche svolte con l’ausilio di codici di calcolo» prescrive, sommariamente, di dimostrare, attraverso calcoli semplici e chiari, che i risultati ottenuti attraverso un programma di calcolo siano sostanzialmente confrontabili: «Qualora l’analisi strutturale e le relative verifiche siano condotte con l’ausilio di codici di calcolo automatico, il progettista dovrà controllare l’affidabilità dei codici utilizzati e verificare l’attendibilità dei risultati ottenuti, curando nel contempo che la presentazione dei risultati stessi sia tale da garantirne la leggibilità, la corretta interpretazione e la riproducibilità». Tale richiesta è stata introdotta per far fronte alle centinaia (se non migliaia) di pagine incomprensibili che affollavano le relazioni di calcolo accompagnatorie al progetto strutturale.

Se da una parte quindi, la normativa pone delle «condizioni» per la validazione del progetto strutturale, dall’altra, non sembra tener in conto l’interazione che sussiste tra progetto e cantiere. Indubbiamente, quanto riportato alla normativa risulta essere frutto di ricerche scientifiche e studi particolari in campo sismico; le caratteristiche degli elementi strutturali, ovviamente, devono essere tali da garantire una sufficiente performance negli eventi cosi detti «eccezionali». Quanto asserito è indubbiamente vero, ma la ricerca della perfezione teorica comporta, molto spesso, dei gravi errori a livello di cantiere che a loro volta si tramutano, successivamente, in problemi progettuali.

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Un esempio classico e ricorrente è quello dell’armatura di rinforzo per alcuni elementi strutturali: per una fondazione in calcestruzzo armato, le Ntc 2008 al paragrafo 7.2.5 «Requisiti strutturali degli elementi di fondazione» prescrivono che «Le travi di fondazione in c.a. devono avere armature longitudinali in percentuale non inferiore allo 0,2 %, sia inferiormente che superiormente, per l’intera lunghezza.» Anche se questo argomento è stato oggetto di ampie spiegazioni scientifiche sulle geometrie da considerare per il calcolo dell’armatura, non si percepisce, ancora, la reale complicazione che il progetto comporta durante la costruzione dell’elemento strutturale. Se consideriamo una generica trave rovescia (figura 1), abbiamo che la percentuale dello 0,2% deve essere rispettata sia nella porzione superiore che in quella inferiore. Poiché, per normali consuetudini progettuali la larghezza superiore risulta avere dimensioni pari a circa 25-30 cm, non è raro che in cantiere arrivino elaborati strutturali in cui la trave rovescia presenti un’armatura di rinforzo la cui disposizione rende, praticamente, impossibile la sua realizzazione.

Il concetto è molto semplice: se da una parte per il progetto l’elemento strutturale risulta validato (per prescrizione e per calcolo) lo stesso, per il cantiere, non può essere altrettanto validato, in quanto, in molti casi l’impresa, per poter effettuare il getto, deve ricorrere nella modifica del calcestruzzo. Ciò che potrebbe far riflettere è quanto viene riportato al paragrafo 4.1.6.1.3 «Copriferro e interferro»: «Per consentire un omogeneo getto del calcestruzzo, il copriferro e l’interferro delle armature devono essere rapportati alla dimensione massima degli inerti impiegati.» Anche se riportata solo nella sezione dedicata alle travi, tale affermazione dovrebbe essere un principio della realizzazione. Sostanzialmente siamo di fronte a tre punti fondamentali: la normativa, il calcolo e il cantiere; ovviamente la confusione normativa e la prassi della validazione – solamente del progetto «su carta» – rende, in pratica, una costruzione «non validata» (in tal logica si pensi solo alla soluzione abituale per la realizzazione delle fondazioni direttamente sul terreno!).

Tale condizione si verifica anche nel caso delle strutture in zona sismica. La normativa prescrive, come accennato poc’anzi, minimi quantitativi di armatura negli elementi strutturali; tali prescrizioni, però, vengono considerate solo nella fase di progetto dell’elemento, in quanto, nel processo antecedente, la struttura viene dapprima analizzata per mezzo del famoso «modello di calcolo». Questo modello – che possiamo definirlo sostanzialmente uno schema – viene idealizzato attraverso degli elementi matematici nel famigerato metodo Fem (Finite Element Method) in cui gli elementi strutturali vengono rappresentati attraverso semplificazioni ingegneristiche.

Ma ciò che viene all’occhio è la differenza sostanziale che insiste tra modello di calcolo e cantiere. In figura 2 si riporta una comparazione tra un modello di calcolo di una soletta realizzato con un software strutturale specialistico e l’elemento strutturale come è stato realmente realizzato in cantiere. Risulta evidente come l’approssimazione di un’analisi strutturale sia molto accentuata rispetto al processo reale in cantiere. Allora viene da chiedersi: è proprio necessario spingerci a effettuare calcoli strutturali particolari (analisi nonlineari, valutazioni accurate più o meno spinte ecc.) quando, nel cantiere «tipo», è quasi impossibile ottenere ciò che viene calcolato prima e disegnato poi? La risposta, seppur banale, si trova nella semplicità della soluzione. Quando un tempo il calcolo era – per così dire – semplice, le costruzioni erano quasi perfette e frutto sostanzialmente di valutazioni ponderate da parte di progettisti consapevoli, i quali conoscevano molto bene le reali esigenze di cantiere. Quanto asserito non ha nulla a che vedere con il concetto distorto nel non rispetto della normativa, anzi, la semplificazione strutturale potrebbe portare certi ed evidenti vantaggi all’economia e alla sicurezza delle opere.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare a quanto precedentemente detto, affermando che se la realtà delle cose fosse veramente così, parte degli edifici costruiti negli ultimi tempi dovrebbero essere già crollati o severamente danneggiati. Per fortuna però, la normativa è piena di prescrizioni particolari tra le quali spiccano i famigerati «coefficienti di sicurezza», veri e propri «salvagente» teorico-pratici.

Considerando comunque che la pratica costruttiva è il processo – per così dire – più complicato e limitativo, la soluzione dell’equazione progettista-computer-cantiere potrebbe essere ricercata sia nell’ambito progettuale sia nell’ambito cantieristico. In effetti se un progettista è in grado di progettar e strutture anche di una certa complessità, egli dovrebbe possedere un minimo di bagagliaio culturale inerente le modalità attuative per realizzare queste strutture. D’altro canto a, loro volta, le imprese costruttrici medio-piccole dovrebbero essere in grado di interfacciarsi con il progettista strutturale attraverso una formazione appropriata, oppure, attraverso l’inserimento di una persona puramente «tecnica» nel proprio staff, con cui sia possibile vagliare le varie soluzioni. Al di là di questo aspetto è bene sottolineare, ancora una volta, che per raggiungere la validazione del processo edilizio, i calcoli strutturali complessi devono essere condotti solo e solamente quando le condizioni al contorno lo consentono!

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